Il TFR è credito integralmente cedibile dal lavoratore

Retribuzione

Con sentenza n. 3913 del 2020 la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi sulla cedibilità del TFR: se essa possa avvenire solo nei limiti del quinto oppure, senza limiti, per l’intero importo. Nel caso di specie la Corte di cassazione ha accolto il ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello la quale aveva ritenuto operante il vincolo di incedibilità oltre il limite del quinto anche per il TFR, sicché – secondo la Corte d’appello – la datrice di lavoro del debitore non era obbligata a pagare alla finanziaria un importo superiore al quinto del TFR del debitore. La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo il TFR, alla luce della disamina della normativa, integralmente cedibile.

La cessione del credito avente ad oggetto il TFR è ammissibile

In primo luogo la Corte ribadisce che in mancanza di espliciti divieti legali alla cessione del credito avente ad oggetto il trattamento di fine rapporto opera la regola della libera cedibilità dello stesso di cui all’art. 1260 c.c. che incontra, quali unici limiti, che il credito non abbia carattere strettamente personale e che il trasferimento dello stesso non sia vietato dalla legge.

Tali limiti, spiega la Corte, non si applicano al TFR.

Il TFR, infatti, non rientra tra i crediti di natura strettamente personale “dovendosi intendere per tali (…) quelli volti al diretto soddisfacimento di un interesse fisico o morale della persona” e per i quali l’incedibilità “è sancita in generale a tutela del debitore, in considerazione della rilevanza che assume la persona del creditore ai fini del contenuto della prestazione”.

Ciò non può affermarsi per il TFR il quale è causalmente collegato al contratto di lavoro senza che, ai fini della determinazione della prestazione, assuma rilievo la persona del creditore.

La Corte ha anche escluso che la qualifica di credito strettamente personale possa derivare al TFR per il fatto, essendo retribuzione differita, di assolvere anche una funzione alimentare del lavoratore e della sua famiglia.

Il credito alimentare non cedibile, infatti, è solo quello che trova la sua fonte nella legge (art. 433 c.c. che disciplina l’obbligo di prestare gli alimenti) mentre la natura alimentare del TFR in quanto retribuzione è solo eventuale.

Excursus normativo svolto dalla Corte di cassazione

La Corte di cassazione nella sentenza citata analizza il dettato normativo in materia di cessione di crediti di lavoro.

È ormai noto che la disciplina contenuta nel DPR 180/1950 originariamente concepita per il pubblico impiego si applica anche al settore privato.

L’art. 1 sancisce che Non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti, salve le eccezioni stabilite nei seguenti articoli ed in altre disposizioni di legge, gli stipendi, i salari, le paghe, le mercedi, gli assegni, le gratificazioni, le pensioni, le indennità, i sussidi ed i compensi di qualsiasi specie che (…) le aziende private corrispondono ai loro impiegati, salariati e pensionati ed a qualunque altra persona, per effetto ed in conseguenza dell’opera prestata nei servizi da essi dipendenti”.

Definita questa regola generale, l’art. 2 contempla le eccezioni alla insequestrabilità e all’impignorabilità” prevedendo che “Gli stipendi, i salari e le retribuzioni equivalenti (…) corrisposti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati nell’art. 1, sono soggetti a sequestro ed a pignoramento nei seguenti limiti: (…) 2) fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per debiti verso lo Stato e verso gli altri enti, aziende ed imprese da cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto d’impiego o di lavoro …”.

L’art. 5 rubricato Facoltà e limiti di cessione di quote di stipendio e salario stabilisce che “Gli impiegati e salariati dipendenti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati nell’art. 1 possono contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote dello stipendio o del salario fino al quinto dell’ammontare di tali emolumenti valutato al netto di ritenute e per periodi non superiori a dieci anni, secondo le disposizioni stabilite dai titoli II e III del presente testo unico.

Il titolo III richiamato dalla norma sopra citata disciplina la “cessione degli stipendi e dei salari (…) degli impiegati e dei salariati non dipendenti dallo Stato e dei dipendenti di soggetti privati”.

L’art. 52, del suddetto titolo III, rubricato “Impiegati e salariati a tempo indeterminato o con contratti collettivi di lavoro” stabilisce che Gli impiegati e salariati delle amministrazioni indicate nel precedente articolo, assunti in servizio a tempo indeterminato a norma della legge sui contratti d’impiego privato od in base a contratti collettivi di lavoro, possono fare cessione di quote di stipendio o di salario non superiore al quinto per un periodo non superiore ai dieci anni, quando siano addetti a servizi di carattere permanente, siano provvisti di stipendio o salario fisso e continuativo. Nei confronti dei medesimi impiegati e salariati assunti in servizio a tempo determinato, la cessione del quinto dello stipendio o del salario non può eccedere il periodo di tempo che, al momento dell’operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere. Alla cessione del trattamento di fine rapporto posta in essere dai soggetti di cui al precedente e al presente comma non si applica il limite del quinto.

L’art. 55, rubricato “Estensione degli effetti della cessione nei casi di cessazione dal servizio – Eccezioni” stabilisce che “Alla cessazione dal servizio, la cessione di quote di stipendio o salario in corso di estinzione estende i suoi effetti, a termini del penultimo comma dell’art. 43, anche sulle indennità che siano dovute agli impiegati o ai salariati indicati nell’art. 52, in base alla legge sul contratto di impiego privato o ai contratti di impiego o di lavoro”.

Il penultimo comma dell’art. 43 citato stabilisce che Qualora la cessazione dal servizio, anziché ad una pensione o altro assegno continuativo equivalente dia diritto ad una somma una volta tanto, a titolo di indennità o di capitale assicurato, a carico dell’amministrazione o di un istituto di previdenza o di assicurazione, tale somma è ritenuta fino alla concorrenza dell’intero residuo debito per cessione.

Conclusioni

Dalle norme sopra citate (in particolare, gli artt. 52, 55 e 43 del DPR 180/1950), emerge che per la “cessione di quote di stipendio o di salario” (per il contratto a tempo indeterminato sia determinato) è espressamente previsto che la stessa non superi il quinto dell’importo, mentre tale limite non è previsto per la cessione del trattamento di fine rapporto fungendo la stessa come garanzia della estinzione del debito contratto dal lavoratore cedente.

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