Il subentro nell’appalto tra licenziamento collettivo, trasferimento d’azienda ed altre particolarità

Appalto

In molti settori nei quali lo svolgimento di attività in appalto è particolarmente frequente i contratti collettivi di categoria contengono le c.d. clausole sociali che disciplinano il “passaggio” del personale dall’azienda appaltatrice uscente all’azienda appaltatrice subentrante. Tale “passaggio” di personale interessa vari istituti e, in presenza di determinate condizioni, beneficia di alcune deroghe alla disciplina generale.

Subentro nell’appalto e procedura del licenziamento collettivo

Come noto le aziende che occupano più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti, e che intendano effettuare almeno 5 licenziamenti, nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell’ambito della stessa provincia sono tenute al rispetto della procedura per i licenziamenti collettivi di cui all’art. 4 della Legge 223/1991.

Il DL 248/2007 (convertito dalla Legge 31/2008) all’art. 7, comma 4bis, prevede la seguente deroga all’applicazione della procedura di cui sopra: “Nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l’invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori, l’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l’applicazione delle disposizioni di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, articolo 24, e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative”.

I limiti di tale deroga all’applicazione della procedura per i licenziamenti collettivi sono stati spiegati dalla Corte di cassazione secondo cui “La disposizione ha (…) aggiunto un’ipotesi ulteriore alle eccezioni dall’applicazione della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991 già individuate dall’art. 24 comma 4 per i casi di scadenza dei rapporti di lavoro a termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e di attività stagionali o saltuarie, relativa al subentro nell’appalto di servizi. Allo scopo, ha però previsto un requisito: che i lavoratori impiegati siano riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. (Solo) nella ricorrenza di tali presupposti, infatti, la situazione fattuale costituisce sufficiente garanzia per i lavoratori, risultandone la posizione adeguatamente tutelata, ed esonera dal rispetto dei requisiti procedurali richiamati dall’art. 24 L. n. 223 del 1991” (Cass., n. 23732/2016 e, nello stesso senso anche Cass., n. 20772/2018 e Corte di Appello di Roma, 2.2.2018).

In sostanza, l’obbligo di esperire la procedura di licenziamento collettivo si ritiene derogabile solo se:

  1. i dipendenti dell’azienda uscente siano assunti – si ritiene contestualmente alla cessazione del rapporto di lavoro – dall’impresa subentrante;
  2. il nuovo contratto di assunzione sia a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi di settore stipulati dalla organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Ciò, peraltro, tenendo conto che l’art. 7, comma 4bis, citato deve essere interpretato in senso conforme alla direttiva 98/59/CE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi) che, da un lato, contiene un elenco di esclusioni dall’applicazione della stessa da considerarsi tassativo (scadenza di contratti a termine; dipendenti delle pubbliche amministrazioni o degli enti di diritto pubblico; equipaggi di navi marittime) e nel quale non rientra il “passaggio” di personale nel caso di subentro in un appalto e, dall’altro, precisa, all’art. 5, che la direttiva “non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o favorire o consentire l’applicazione di disposizioni contrattuali più favorevoli ai lavoratori.

Una interpretazione della norma in esame coerente col diritto comunitario, quindi, implica il mantenimento non solo del trattamento economico e normativo previsto dai contratti e accordi collettivi dell’azienda uscente ma anche il mantenimento delle condizioni contrattuali pattuite a livello individuale (infatti, la giurisprudenza, ad esempio, ha escluso l’operatività della deroga nel caso di assunzione da parte della subentrante dei lavoratori addetti all’appalto con orario di lavoro inferiore rispetto a quello previsto nel contratto con l’azienda cessante).

Evidentemente, nel caso di licenziamento di più lavoratori a causa della cessazione dell’appalto senza che nel frattempo si sia raggiunto un accordo sindacale con la società subentrante, in presenza dei requisiti di cui all’art. 24 Legge 223/1991, la procedura di cui all’art. 4 della predetta legge dovrà essere attivata non essendoci alcuna garanzia né in merito alla assunzione dei lavoratori licenziati, né in merito alle condizioni del nuovo contratto.

Subentro nell’appalto e trasferimento d’azienda

In tema di subentro negli appalti l’art. 29, comma 3, D. Lgs. 276/2003 (modificato dall’art. 30 Legge 122/2016) stabilisce che l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola sociale del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda .

Tale norma è stata modificata per dare attuazione alla direttiva 2001/23/CE (che ha sostituito la direttiva 77/187/CEE) secondo cui “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria.

Secondo la normativa citata, in presenza del subentro di un’azienda ad un’altra nella titolarità di un contratto di appalto, quand’anche la prima assuma il personale impiegato nell’appalto dalla seconda ciò non integra di per sé un trasferimento di ramo d’azienda quando sussistano due condizioni: a) il nuovo appaltatore sia dotato di propria struttura organizzativa ed operativa; b) siano presenti elementi di discontinuità.

In realtà i principi sottesi alla direttiva comunitaria e alla modifica normativa erano già stati espressi in precedenza dalla giurisprudenza.

In particolare la Corte di cassazione, pronunciandosi appunto sulla versione previgente dell’art. 29 citato, aveva chiarito che “ai sensi dell’art. 29, comma 3, d. lg. n. 276 del 2003, non costituisce trasferimento d’azienda – ai sensi dell’art. 2112 c.c. – la mera assunzione dei lavoratori in caso di cambio del soggetto appaltatore (…), a meno che la stessa non si accompagni alla cessione dell’azienda o di un suo ramo autonomo intesa come passaggio di beni di non trascurabile entità, tali da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa” (Cass., 6.12.2016, n. 24972).

Oltre ad affermare tale principio, la sentenza sopra citata ha anche dato atto dell’orientamento che ha “sperimentato la massima dilatazione possibile della nozione di trasferimento d’azienda fino ad estenderla anche alla cessione avente ad oggetto solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui autonoma capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how”  per poi però ribadire – appunto – che affinché sia configurabile un trasferimento di ramo d’azienda col solo passaggio di dipendenti (senza, quindi, anche il passaggio significativo di mezzi e/o attrezzature), è necessario che il suddetto passaggio riguardi dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro.

Detto in altri termini non è sufficiente il passaggio di un gruppo di dipendenti addetti allo svolgimento della attività oggetto dell’appalto ma è necessario che la subentrante acquisisca anche l’organizzazione di quel gruppo di modo da non ravvisarsi differenza tra la prima e la seconda gestione, ciò che implica che l’attività oggetto del subentro abbia i caratteri idonei a conferire autonoma capacità a maestranze stabilmente coordinate e organizzate tra loro.

Del resto tale principio era stato già espresso dalla Corte di giustizia laddove ha affermato che “la mera circostanza che i servizi prestati dal precedente e dal nuovo appaltatore sono analoghi non consente di concludere nel senso che sussista il trasferimento di una entità economica. Infatti, un’entità non può essere ridotta all’attività che le era affidata. La sua identità emerge anche da altri elementi quali il personale che la compone, il suo inquadramento, l’organizzazione del suo lavoro, i metodi di gestione e ancora, all’occorrenza, i mezzi di gestione a sua disposizione” (Corte di giustizia UE, causa C – 13/1995).

Cessazione dell’appalto, licenziamento e procedura ex art. 7 Legge 604/1966

A seguito della modifica ad opera dell’art. 7 del D.L. 76/2013 (convertito con Legge 99/2013), l’art. 7, comma 6, Legge 604/1966 esclude l’applicazione della procedura in esso disciplinata per “i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all’art. 2, comma 34, della legge 28 giugno 2012, n. 92”.

La norma richiamata prevede la fattispecie dei licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Come, quindi, per il caso dell’esclusione della procedura per i licenziamenti collettivi, nel caso di licenziamenti individuali a causa della cessazione dell’appalto di lavoratori assunti precedentemente al 7.3.2015 (data di entrata in vigore del D. Lgs. 23/2015, c.d. Jobs Act), la procedura di cui all’art. 7 Legge 604/1966 è esclusa solo nel caso in cui, in attuazione delle clausole sociali dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, l’azienda subentrante assuma il lavoratore.

Anche in questo caso, quindi, nel dubbio, appare più prudente per l’azienda uscente attivare comunque la procedura.

Cessazione dell’appalto, licenziamento e pagamento del contributo NASpI

L’art. 2, comma 34, Legge 92/2012, sopra citato prevede che il contributo NASpI non sia dovuto nel caso di licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Subentro nell’appalto e impugnazione del licenziamento

La tutela prevista dalla c.d. clausola sociale con la quale il contratto collettivo preveda per l’ipotesi di cessazione dell’appalto una procedura finalizzata a consentire il passaggio immediato alle dipendenze dell’azienda subentrante a seguito di recesso della cedente ed assunzione “ex novo” della subentrante non sostituisce ma si aggiunge alla tutela prevista a favore del lavoratore nel caso di licenziamento illegittimo e ciò anche nel caso di effettiva assunzione da parte della subentrante in quanto il consenso del lavoratore licenziato a tale nuovo contratto di lavoro non implica alcuna rinuncia alla impugnazione del recesso datoriale.

Questo è un principio ormai consolidato in giurisprudenza (tra le tante, Cass., 29922/2018).

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