I contratti di consulenza con un professionista iscritto all’albo sono sempre legittimi?

Contratto di lavoro

Recentemente, con sentenza n. 27388 pubblicata il 25 ottobre scorso, la Corte di cassazione si è pronunciata in merito alla natura subordinata di una serie di contratti di consulenza intercorsi tra una società e un architetto tra il 15.6.2005 e il 31.5.2008.

I predetti contratti sono soggetti ad una disciplina non più in vigore (gli articoli 61 – 69 D. Lgs. 276/2003 nella versione antecedente le modifiche apportate dalla Legge 92/2012 e poi abrogati dal D. Lgs. 81/2015), tuttavia la pronuncia è comunque interessante in quanto esprime un principio confermato anche alla disciplina attuale oltre al fatto che sussistono fattispecie in cui la successione o il rinnovo di contratti di consulenza, collaborazione coordinata e continuativa e a progetto coprono talvolta periodi di molti anni interessando tutte le modifiche normative intercorse nel tempo.

Fattispecie esaminata dalla Corte di cassazione

Nel caso all’esame della Corte, il ricorso della lavoratrice formalmente autonoma di accertamento della natura subordinata del rapporto contrattuale veniva rigettato dal Giudice di primo grado il quale ha evidentemente ritenuto non applicabile l’art. 69 D. Lgs. 276/2003, all’epoca vigente, secondo cui “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto” (l’art. 61, comma 1, applicabile ratione temporis prevedeva che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa”).

Il Giudice di primo grado ha escluso l’applicazione delle norme di cui sopra per il solo fatto che la ricorrente avesse il titolo di architetto (e, quindi, fosse iscritta al relativo albo professionale), ritenendo, quindi, operante la deroga dell’art. 61, comma 3, D. Lgs. 276/2003, all’epoca vigente, secondo cui “sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo” (e ciò, pare dalla lettura della sentenza della Corte di cassazione, rilevando d’ufficio l’applicazione di tale esclusione che sembrerebbe non essere stata dedotta dalla convenuta nella memoria difensiva).

Successivamente, la sentenza di primo grado veniva riformata dalla Corte d’appello la quale ha accertato la sussistenza dalla data di stipula del primo contratto di consulenza/collaborazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e pertanto ancora in essere con condanna della società al pagamento delle differenze retributive maturare dalla ricorrente in corso di rapporto nonché delle retribuzioni perse da una data successiva alla cessazione dei contratti, quindi, si presume dalla data di offerta della prestazione lavorativa, fino alla data della sentenza, dedotto quanto percepito nel frattempo per lo svolgimento di altra attività lavorativa.

La Corte d’appello riteneva, infatti, inapplicabile al caso di specie la deroga di cui all’art. 61, comma 3, D. Lgs. 276/2003 rilevando come non risultasse che, quantomeno i primi contratti, fossero stati stipulati dalla appellante in qualità di professionista (architetto) e come gli stessi fossero sprovvisti di uno specifico progetto.

La decisione della Corte di cassazione

La Corte di cassazione nel confermare la sentenza di secondo grado ha affermato come la deroga di cui all’art. 61, comma 3, citato, non possa operare solo in ragione del possesso di per sé del titolo o dello status di professionista (nella specie architetto, ma ciò vale per qualunque professione intellettuale) essendo la suddetta deroga prevista soltanto “per le attività di lavoro autonomo che (obiettivamente) possano essere svolte (solo) da un professionista”. Ciò anche in considerazione del fatto che un soggetto pur iscritto ad un albo professionale ben potrebbe stipulare un contratto di collaborazione per attività avulse dallo status di professionista o comunque per le quali tale titolo non è necessario.

Tale decisione della Corte risulta, peraltro, in linea con il chiarimento contenuto nella Legge 92/2012 laddove all’art. 1, comma 27, ha specificato che “La disposizione concernente le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in albi professionali (…) si interpreta nel senso che l’esclusione dal campo di applicazione del capo I del titolo VII del medesimo decreto riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. In caso contrario, l’iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza idonea di per sé a determinare l’esclusione dal campo di applicazione del suddetto capo I del titolo VII”.

Tale interpretazione della deroga in esame effettuata dalla Corte di cassazione è stata poi recepita anche dal legislatore del 2015 laddove all’art. 2, comma 2, lettera b) D. Lgs. 81/2015 esclude l’applicazione dell’art. 1 (ora modificato dal D.L. 101/2019) che prevede l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione con prestazioni personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, nei casi in cui le dette collaborazioni siano “prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali”.

Conclusioni

Sembra pertanto fuor di dubbio che si sottraggano alle disposizioni che estendono alle collaborazioni coordinate e continuative la disciplina del contratto di lavoro subordinato soltanto le prestazioni, rese in via coordinata e continuativa, caratteristiche della professione intellettuale al cui albo è iscritto il collaboratore.

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