Quando è dovuto e a quanto ammonta il contributo NASpI (c.d. ticket licenziamento).

Licenziamento

Come noto, in tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (indifferentemente a tempo pieno o parziale e anche se in periodo di prova) da cui derivi in astratto il dritto del lavoratore a percepire la NASpI – indipendentemente che ne fruisca effettivamente o meno – il datore di lavoro ha l’obbligo (introdotto dalla Legge 92/2012) di versare un contributo quantificato in modo diverso in base a determinati parametri.

Come si calcola

La somma dovuta è, in generale, il 41% del massimale mensile di NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni.

Il predetto massimale è comunicato dall’Inps con circolare all’inizio di ciascun anno e per il 2020 ammonta ad € 1.227,55 (circolare Inps 20/2020).

Pertanto, ad esempio, per un rapporto di lavoro di 12 mesi di anzianità il contributo ammonta ad € 503,30 (pari, appunto, al 41% di € 1.227,55), per un rapporto di lavoro di 24 mesi è pari ad € 1.006,60 e per un contratto di anzianità pari o superiore a 36 mesi, è pari all’importo massimo di € 1.509,90.

Se il rapporto di lavoro è di anzianità inferiore ai 12 mesi, viene calcolato l’importo mensile del contributo, attualmente di € 41,94 (pari a € 503,30 / 12) e moltiplicato per il numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro tenendo conto che i mesi parzialmente lavorati si considerano mesi interi se la prestazione si è protratta per almeno 15 giorni di calendario.

Dall’1.1.2018 per i licenziamenti collettivi intimati da datori di lavoro soggetti alla cigs, il contributo per ogni 12 mesi di anzianità aziendale è pari all’82% del massimale mensile NASpI (quindi, attualmente, fino ad un massimo di € 3.019,77).

Quando sorge l’obbligo di pagamento in capo al datore di lavoro

Come detto, l’obbligo di pagare il contributo sorge in tutti i casi in cui con la cessazione del rapporto di lavoro il lavoratore maturi il diritto alla NASpI e ciò in linea teorica, ossia indipendentemente dal fatto che il lavoratore fruisca effettivamente tale istituto e “indipendentemente dal requisito contributivo” ossia anche nel caso in cui il lavoratore non abbia i requisiti contributivi richiesti.

L’obbligo sorge, quindi, nelle seguenti fattispecie:

  • licenziamento individuale di qualsiasi tipo (per giustificato motivo oggettivo, soggettivo o per giusta causa);
  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 Legge 604/1966 (comma 7);
  • licenziamento dell’apprendista compreso il recesso del datore di lavoro al termine del periodo di apprendistato di cui all’art. 42, comma 4, D. Lgs. 81/2015;
  • dimissioni della lavoratrice madre o del lavoratore padre in congedo di paternità intervenute nel periodo di operatività del divieto di licenziamento, dall’inizio della gravidanza fino all’anno di età del bambino (art. 54 D. Lgs. 151/2001). Per le dimissioni rassegnate in tale periodo, infatti, la lavoratrice madre o il lavoratore padre non ha l’obbligo di prestare il preavviso ed ha diritto alla relativa indennità sostitutiva;
  • licenziamento collettivo per eccedenza del personale: se nel corso della procedura non si raggiunge l’accordo sindacale, il contributo quantificato secondo le regole di cui sopra è triplicato (art. 4, comma 9, Legge 223/1991);
  • dimissioni del lavoratore rassegnate a causa di un trasferimento a più di 50 km di distanza dalla sede originaria di lavoro e raggiungibile in più di 80 minuti con i mezzi pubblici (in tale ipotesi, infatti, l’Inps riconosce al lavoratore, seppure dimissionario, il diritto alla NASpI).

Quando l’obbligo non sorge

Il contributo NASpI non è dovuto nei seguenti casi:

  1. licenziamenti per effetto di cambio di appalto, al quale siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  2. interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.
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