I contratti a termine acausali stipulati nel rispetto della legge italiana sono sempre legittimi?

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La giurisprudenza di merito getta un’ombra sulla legittimità del termine nel caso di successione di contratti di lavoro a tempo determinato anche se nel rispetto della legge nazionale. Il Tribunale di Firenze (794/2019), a proposito di un lavoratore assunto con contratto a termine prorogato 5 volte e poi rinnovato per complessivi 21 mesi, ha, innanzitutto affermato che la disposizione nazionale (art. 1 D. Lgs. 368/2001 e art. 19 D. Lgs. 81/2015) secondo cui il contratto a tempo indeterminato costituisce la forma comune di lavoro vada interpretata nel senso che il contratto a tempo determinato, costituendo una eccezione, è ammissibile solo per soddisfare esigenze transitorie.

Ha poi richiamato la clausola 5 della direttiva CE 70/99 che stabilisce che, per prevenire gli abusi derivanti dalla successione di contratti a tempo determinato, gli Stati membri debbano introdurre una o più misure consistenti in: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei contratti; b) la durata massima totale degli stessi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti, precisando che la Corte di giustizia ha ribadito che la misura scelta dallo Stato membro, quale essa sia, deve essere adeguata a prevenire l’uso abusivo della successione di detti contratti, giudicando non rispettose della direttiva le legislazioni nazionali che consentano il ricorso ai contratti a termine per soddisfare esigenze permanenti.

Il Giudice di merito ha, quindi, affermato l’illegittimità della successione di contratti a tempo determinato per esigenze stabili e durevoli e con conseguente nullità della clausola appositiva del termine.

Il Trib. di Trento (223/2018) ha precisato che, nel rispetto dei limiti posti dalla legge nazionale alla possibilità di ricorrere al tale contratto, sorge la presunzione che la successione di contratti a termine persegua esigenze di carattere temporaneo e che grava in capo alla parte che abbia interesse contrario alla legittimità del termine (ossia, il lavoratore) l’onere di provare che la successione dei contratti a termine in concreto fosse volta a soddisfare esigenze di carattere permanente o durevole e comunque non temporaneo.

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