Recentemente la Corte di cassazione (sentenza n. 3865/2020) è tornata ad esprimersi sul tema della configurabilità della concorrenza sleale per storno di dipendenti. Tema particolarmente delicato in quanto i profili della correttezza nella concorrenza commerciale tra imprese interferisce pesantemente con diritti costituzionali quali il diritto alla libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.) e il diritto dell’individuo al lavoro ed ad una adeguata remunerazione per lo stesso (artt. 4 e 36 Cost.).
La fattispecie concreta
Una società conveniva in giudizio altra società sua concorrente e 4 ex dipendenti della prima che erano stati assunti dalla seconda.
La società attrice chiedeva l’accertamento della concorrenza sleale da parte della convenuta ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c. (“…compie atti di concorrenza sleale chiunque: (…) 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”), la condanna in solido di tutti i convenuti (tra cui, appunto, gli ex dipendenti) al risarcimento dei danni, la cessazione immediata delle condotte illecite, l’inibitoria della società convenuta a qualsiasi ulteriore acquisizione di dipendenti e collaboratori dell’attrice per due anni, il divieto agli ex dipendenti convenuti di prestare attività per la società convenuta per un anno.
Ciò in quanto l’attrice riteneva che la convenuta avesse stornato suoi dipendenti al fine di danneggiarla attraverso una campagna di sviamento della clientela. Adduceva, infatti, di aver subito un calo del fatturato.
In realtà, nel corso del giudizio, è emerso che al momento della loro assunzione da parte della società convenuta, i 4 lavoratori anch’essi convenuti, non erano già più dipendenti dell’attrice: due di essi erano in pensione e gli altri due avevano nel frattempo lavorato anche per altre aziende.
Il primo grado di giudizio terminava col rigetto delle domande dell’attrice mentre la Corte d’Appello le accoglieva parzialmente accertando l’esistenza di una condotta illecita della società appellata col concorso colposo dei 4 lavoratori e condannando l’appellata a cessare pratiche di sviamento di clientela.
Contro la sentenza d’appello veniva proposto ricorso in cassazione.
Lo storno dei dipendenti
Nel cassare la sentenza di secondo grado, la Corte di cassazione ha chiarito che la mera assunzione di personale proveniente da una azienda concorrente non è di per sé una condotta illecita, essendo espressione del principio della libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica.
Più nello specifico non può negarsi il diritto di un imprenditore di assumere dipendenti di un concorrente purché ciò avvenga con mezzi leciti quali, ad esempio, l’offerta di un trattamento retributivo migliore o di una posizione professionale più soddisfacente.
Per non parlare del fatto che è indiscutibile il diritto di ciascun lavoratore di cambiare posto di lavoro in quanto, diversamente, il bagaglio di competenze ed esperienza maturato presso un datore di lavoro anziché essere un vantaggio nel reperimento di una posizione lavorativa più remunerativa e stimolante sarebbe un (inammissibile) vincolo preclusivo della libertà di proporsi sul mercato e di ambire a nuovi sbocchi professionali (non a caso, al fine di evitare che il proprio dipendente alla cessazione del rapporto di lavoro si rivolga ad aziende concorrenti, esiste il patto di non concorrenza che, come noto, oltre ad essere circoscritto nella sua estensione, è a titolo oneroso).
Ai fini della configurazione dello storno di dipendenti è necessario l’elemento soggettivo consistente nella “consapevolezza del soggetto agente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altrui impresa e il requisito soggettivo dell’animus nocendi” precisando che lo stesso si considera esistente “in linea puramente oggettiva ogni volta che lo storno sia stato posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva del concorrente”.
Per la precisione l’elemento soggettivo non risiede nella mera consapevolezza in capo all’impresa concorrente della idoneità dell’atto a danneggiare l’altra impresa ma risiede nella intenzione di conseguire il risultato di danneggiare la concorrente (quindi le assunzioni non rientrano nelle normali dinamiche del mercato del lavoro ma sono artatamente poste in essere col preciso scopo di danneggiare il concorrente).
La condotta deve essere inequivocabilmente idonea a cagionare danno all’azienda contro la quale è posta in essere.
Tali presupposti possono presumersi al verificarsi di alcuni indici elaborati dalla giurisprudenza, quali:
- per parlarsi di storno di personale, il passaggio dei dipendenti e/o dei collaboratori dall’una all’altra impresa deve essere diretto o, se non appare diretto, l’eventuale intervallo tra un rapporto di lavoro e l’altro deve essere simulato. Sul punto la giurisprudenza è molto chiara nell’affermare che non può mai integrare storno di personale l’assunzione di ex dipendenti di un concorrente che avendo, appunto, cessato il rapporto con quest’ultimo siano liberi sul mercato.
- Il numero rilevante di dipendenti / collaboratori transitati da una impresa all’altra, la loro professionalità, la posizione nell’ambito dell’organigramma della impresa concorrente di provenienza, l’esistenza di difficoltà oggettive a provvedere alla loro sostituzione oltre ai metodi eventualmente utilizzati per convincere i dipendenti a passare alle dipendenze della concorrenza.
La presenza di tali indici, infatti, può essere idonea a dimostrare l’intenzione dell’impresa agente di acquisire risorse del proprio concorrente al fine di vanificarne gli investimenti, di creare effetti distorsivi sul mercato, di danneggiarne la struttura produttiva disgregandone in modo traumatico l’organizzazione aziendale, ricavandone, quindi, un indebito vantaggio.
Il risarcimento del danno
L’art. 2600 c.c. stabilisce al comma 1 che “Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l’autore è tenuto al risarcimento dei danni” e al comma 3 che “accertati gli atti di concorrenza sleale la colpa si presume”.
Il danno cagionato da un atto di concorrenza sleale però non sussiste in re ipsa ma deve essere dimostrato secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito.
L’onere della prova dell’esistenza del danno e del nesso causale con la condotta illecita incombe sull’impresa che assume di aver subito un atto di concorrenza sleale.
Conclusioni in relazione al caso esaminato
Nel caso esaminato, la Corte di cassazione ha escluso la sussistenza di una condotta in termini di storno di personale posto che i lavoratori assunti dall’azienda concorrente non erano più, già da tempo, dipendenti di quest’ultima e, quindi, di fatto erano liberi di reperire una nuova occupazione anche presso una azienda concorrente.