A differenza del “divieto” di licenziamento collettivo e individuale per giustificato motivo oggettivo previsto originariamente per 60 giorni dal DL 18/2020 e poi successivamente prorogato fino al 17 agosto 2020 dal DL 34/2020 (entrambi convertiti in legge) che precludeva alle aziende la facoltà di ricorrere alle due tipologie di licenziamento menzionate in via generale e fino ad una scadenza fissa e uguale per tutti, il DL 104/2020 nel prorogare il suddetto divieto – evidentemente in una logica di compromesso – contempla una disciplina più articolata. Ora la durata della preclusione in esame non è più fissa per tutte le aziende ma è variabile a seconda di determinate condizioni ed, inoltre, sono previste delle esclusioni specifiche prima non contemplate.
Potere di licenziamento e fruizione dei trattamenti di integrazione salariale o degli esoneri contributivi.
L’art. 1 DL 104/2020 amplia il periodo di fruizione delle integrazioni salariali (cigo, assegno ordinario e cigd) prevedendo che nel secondo semestre del 2020, più precisamente dal 13 luglio al 31 dicembre 2020, le aziende che sospendono o riducono l’attività lavorativa per ragioni riconducibili all’emergenza epidemiologica Covid-19, possano fruire di ulteriori 18 settimane di integrazione salariale suddivise in due tranche di 9 settimane ciascuna. La richiesta di fruizione della seconda tranche di 9 settimane presuppone l’autorizzazione e la fruizione delle prime 9 settimane (oltre che il pagamento di un contributo addizionale differenziato sulla base dell’ammontare dell’eventuale riduzione di fatturato tra il 2019 e il 2020).
Con la precisazione che eventuali periodi di integrazione salariale già richiesti e autorizzati (prima dell’entrata di vigore del DL in esame) che si collochino – anche solo parzialmente – dopo il 12 luglio 2020 sono imputati alle prime 9 settimane (che quindi si ridurranno di conseguenza).
Sempre al fine di fronteggiare l’emergenza Covid-19 il legislatore, all’art. 3, ha previsto in alternativa alla integrazione salariale di cui all’art. 1 DL, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico azienda per il periodo massimo di 4 mesi fruibili entro il 31 dicembre 2020, per le aziende che:
- non richiedano i trattamenti di integrazione salariale di cui all’art. 1 del DL;
- abbiano fruito nei mesi di maggio e giugno 2020 dei trattamenti di integrazione salariale di cui al DL 18/2020 e successive modificazioni.
Infatti, il predetto esonero contributivo è riconosciuto nel limite del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei predetti mesi di maggio e giugno 2020 con esclusione dei premi assicurativi dovuti all’Inail.
L’art. 14 DL rubricato “Proroga delle disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo” stabilisce che alle aziende che non abbiano integralmente fruito
- i trattamenti di integrazione salariale di cui all’art. 1 DL (e, quindi, delle ulteriori 18 settimane eventualmente detratti i periodi già richiesti e autorizzati che si collocano dopo il 12 luglio);
oppure
- l’esonero dal versamento contributivo di cui all’art. 3 DL,
restano preclusi:
- l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo (ai sensi degli artt. 4, 5 e 24 Legge 223/1991) o comunque la ripresa delle medesime procedure avviate successivamente al 23 febbraio 2020 e sospese per effetto del DL 18/2020 (con l’unica eccezione dell’ipotesi in cui il licenziamento collettivo si riferisca a personale impiegato in un contratto di appalto e che sia riassunto a seguito di subentro nel contratto da un nuovo appaltatore in forza di legge, di CCNL o del contratto di appalto stesso);
- la facoltà di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 Legge 604/1966 con conseguente sospensione delle procedure ex art. 7 Legge 604/1966 per i casi in cui sono previste.
Di fatto il legislatore vincola la sussistenza del potere di recedere dal contratto di lavoro da parte delle aziende alla effettiva ed integrale fruizione delle misure messe a disposizione delle stesse per fronteggiare le conseguenze dell’emergenza epidemiologica ossia l’integrazione salariale oppure, in alternativa ed in presenza dei presupposti richiesti, l’esonero contributivo.
Solo quando tali misure saranno integralmente fruite, l’azienda riacquisterà la facoltà di avviare o riprendere una procedura di licenziamento collettivo o di intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Pertanto, il termine di scadenza del “blocco” dei licenziamenti, sarà variabile a seconda dei periodi di integrazione salariale già fruiti dall’azienda: ossia dopo il 12 luglio per le aziende che chiederanno l’ulteriore periodo di 9 + 9 settimane di integrazione salariale e nei mesi di maggio e giugno 2020 per le aziende che opteranno per l’esonero contributivo.
In ogni caso il limite ultimo sarà il 31 dicembre 2020 essendo questa la scadenza per la fruizione delle misure di sostegno di cui sopra.
Poiché, come visto, l’art. 14 DL 104/2020 vincola la sussistenza del blocco dei licenziamenti alla fruizione di misure a sostegno alle aziende per le conseguenze dell’emergenza Covid-19, sorge il dubbio se aziende che, non avendone la necessità, non hanno fruito di tali misure abbiano o meno la facoltà effettuare dei licenziamenti in presenza di ragioni estranee all’emergenza suddetta.
In caso si ritenesse il divieto sempre sussistente l’effetto sarebbe quello di vincolare aziende prive dei presupposti per fruire dei benefici di integrazione salariale o di esonero contributivo di cui sopra peraltro fino al termine ultimo del 31 dicembre 2020 (non essendo in questo caso individuabile un termine differente).
Sarebbe opportuno che in sede di conversione del DL questo aspetto fosse chiarito.
Esclusioni.
L’art. 14, comma 3, DL 104/2020 esclude l’operatività del divieto nei seguenti casi:
- licenziamenti per cessazione definitiva dell’attività dell’impresa conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione dell’attività e nel caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri un trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. (in tale ultimo caso, infatti, i lavoratori dovranno passare dalle dipendenze della società in liquidazione cessionaria alle dipendenze della cedente).
- Nel caso di accordo collettivo aziendale stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro e limitatamente ai lavoratori che aderiscono allo stesso. Il DL precisa che a detti lavoratori è “comunque” riconosciuta la NASpI, il che potrebbe indurre a ritenere che tale accordo aziendale potrebbe prevedere anche la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e non necessariamente il licenziamento (altrimenti non si comprende la ragione di tale specificazione, visto che è assodato che in presenza di licenziamento anche intimato in regime di blocco, come chiarito anche dall’Inps, il lavoratore ha comunque diritto alla NASpI).
- Nel caso di fallimento del datore di lavoro quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa e ne sia disposta la cessazione.
Il riferimento, tra le esclusioni, dell’accordo collettivo aziendale insinua un ulteriore dubbio ossia se sia possibile cessare il rapporto di lavoro con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato nel contesto di un accordo tra azienda e lavoratore sottoscritto in sede protetta ai sensi dell’art. 411 c.p.c..
A parere di chi scrive il riferimento all’accordo collettivo aziendale si riferisce alle ipotesi di licenziamento collettivo o comunque plurimo e pertanto non dovrebbe intaccare la facoltà del singolo lavoratore di accettare il licenziamento seppure irrogato nella vigenza del divieto.
Estensione della facoltà di revoca del licenziamento in deroga all’art. 18, comma 10, Legge 300/1970.
La facoltà del datore di lavoro di revocare i licenziamenti intimati per giustificato motivo può avvenire indipendentemente dal nnumero dei dipendenti e in ogni tempo e, quindi, anche oltre il termine di 15 giorni dalla eventuale impugnazione e per ogni licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato nel corso del 2020 e, dunque, sia nel periodo di operatività del divieto introdotto dal DL 18/2020, sia nel periodo antecedente.
Ciò a condizione che l’azienda effettui contestualmente alla revoca la richiesta di integrazione salariale con decorrenza dalla data di efficacia del licenziamento revocato.
La revoca così disciplinata potrebbe essere uno strumento utile per evitare le gravose conseguenze di un licenziamento eventualmente intimato per errore nella vigenza del divieto.