Una domanda che datori di lavoro e lavoratori si stanno lecitamente ponendo è se sussista o meno un obbligo in capo al datore di lavoro – ai fini di limitare le possibilità di contagio – di far fruire unilateralmente le ferie a tutti o una parte dei propri dipendenti. Il tema non lascia questi ultimi indifferenti visto che gli ultimi due DPCM, rispettivamente dell’8 e 9 marzo, hanno efficacia fino al 3 aprile e se, ipoteticamente, un datore di lavoro facesse fruire le ferie ai propri dipendenti per tutto detto periodo, i lavoratori interessati utilizzerebbero sostanzialmente tutte le ferie maturabili nell’anno (con possibilità di andare anche a debito).
La disciplina delle ferie
Il diritto del lavoratore alle ferie è un diritto costituzionale.
L’art. 36 Cost., infatti, all’ultimo capoverso sancisce che “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non più rinunziarvi”.
Il codice civile, all’art. 2109 (“Periodo di riposo”), precisa al comma 2, che il lavoratore “ha anche diritto dopo un anno d’ininterrotto servizio, ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”.
Vi è poi il D. Lgs. 66/2003 (“Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”) che all’art. 10 (“Ferie annuali”) stabilisce: “Fermo restando quanto previsto dall’art. 2109 del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva (…) va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione”.
Su tali disposizioni legislative si innestano le disposizioni della contrattazione collettiva.
Ad esempio, con riferimento alla determinazione del periodo delle ferie, il CCNL del settore terziario (il CCNL commercio) stabilisce che “Compatibilmente con le esigenze dell’azienda, e tenuto conto di quelle dei lavoratori, è in facoltà del datore di lavoro stabilire il periodo delle ferie dal maggio all’ottobre, eccettuate le aziende fornitrici di apparecchiature frigorifere e di birra, acque minerali, bevande gassate, gelati e ghiaccio, nonché le aziende di raccolta e salatura di pelli grezze fresche che potranno fissare i turni di ferie in qualsiasi periodo dell’anno. Ferme restando le eccezioni sopra indicate, in deroga a quanto sopra, la determinazione dei turni feriali potrà avvenire anche in periodi diversi dell’anno in accordo tra le parti e mediante programmazione”.
Mentre, altro esempio, il CCNL settore Metalmeccanico, all’art. 10, prevede che “le ferie avranno normalmente carattere collettivo (per stabilimento, per reparto, per scaglione). Il periodo di ferie consecutive e collettive non potrà eccedere le 3 settimane, salvo diverse intese aziendali. L’epoca delle ferie collettive sarà stabilita dalla Direzione, previo esame congiunto in sede aziendale, tenendo conto del desiderio dei lavoratori compatibilmente con le esigenze del lavoro dell’azienda”.
Dall’impianto normativo emerge che la determinazione del periodo delle ferie, pur nella considerazione delle esigenze e richieste del lavoratore, competa al datore di lavoro e ciò trova conferma anche nella giurisprudenza laddove afferma che “Occorre ricordare che l’esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente al datore di lavoro, nell’esercizio del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa, dovendosi riconoscere al lavoratore la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intenda fruire del risposo annuale” (Cass., n. 12205/2016).
Detto questo occorre però sempre considerare la regolamentazione contenuta nella contrattazione collettiva che, appunto, può contenere previsioni di maggior favore per il lavoratore, come la previsione di una programmazione previo esame congiunto tra le parti in sede aziendale.
I DPCM dell’8 e 9 marzo 2020
Con DPCM 8.3.2020 emanato con riferimento ad una zona circoscritta alla regione Lombardia e a varie province e le cui disposizioni, col successivo DPCM del 9.3.2020, sono state poi estese a tutta Italia, tra le misure urgenti a contrastare e contenere il diffondersi del visus COVID – 19 è previsto: “si raccomanda ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere, durante il periodo di efficacia del presente decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie …”.
La disposizione, dal suo tenore letterale (“si raccomanda … di promuovere …”) non sembra avere carattere cogente oltre al fatto che si tratta di un DPCM ossia di una fonte di grado secondario che, pur essendo qualificata quale provvedimento attuativo del DL 6/2020 sembra travalicare i confini della semplice funzione attuativa (a maggior ragione se si considera che con tale strumento normativo si è intervenuti a limitare la libertà costituzionale di circolazione di cui all’art. 16 Cost.; limitazione che può avvenire per motivi di sanità e di sicurezza solo con legge).
A parere di chi scrive, quindi, la disposizione di cui al DPCM citato non introduce alcun obbligo in capo alle aziende di far fruire le ferie ai propri dipendenti durante il periodo di efficacia del DPCM stesso ma una semplice raccomandazione che potrà essere attuata da aziende e lavoratori nel rispetto delle norme legali e contrattuali sopra citate.
Ciò significa che il datore di lavoro può (non deve) far fruire le ferie ai propri dipendenti o ad alcuni di essi in ragione delle esigenze aziendali ma comunque nel rispetto delle disposizioni contrattuali che variano a seconda del contratto applicato e che, come detto, potrebbero contenere misure di maggior favore per il lavoratore (fermo restando che nella situazione attuale la fruizione delle ferie può considerarsi rispecchiare le esigenze del lavoratore anche in termini di maggiore protezione della propria salute oltre che di quella pubblica).